La differenza tra Orzare e Poggiare



In un precedente articolo ho parlato della differenza tra Virata e Strambata. Oggi affronterò un tema strettamente legato al virare e allo strambare, ovvero la differenza tra Orzare e Poggiare.

Partiamo dalle definizioni: 
Orzare significa manovrare l'imbarcazione affinché l'asse longitudinale ruoti avvicinando la prua al vento;
Poggiare significa manovrare l'imbarcazione affinché l'asse longitudinale ruoti allontanando la prua dal vento.

Traduciamo:
Orzare significa andare verso il vento, Poggiare significa il contrario.

Facciamo un esempio: stiamo andando di traverso, quindi il vento è perpendicolare alla nostra direzione. Se vogliamo passare a una andatura di bolina, dovremo orzare (perché dal traverso alla bolina avviciniamo la prua al vento); se invece vogliamo passare a una andatura di lasco, dovremo poggiare (perché dal traverso al lasco allontaniamo la prua dal vento).

Se guidiamo una deriva o una imbarcazione simile, con la barra del timone in mano, per orzare dovremo allontanare la barra del timone da noi; per poggiare, dovremo avvicinare la barra del timone a noi.

La Ballata del Vecchio Marinaio (3a parte)



Buon Anno e buon vento!

Per il primo post del 2021 ho pensato di proporvi la terza parte di The Rime of Ancient Mariner, di Samuel T. Coleridge.


TERZA PARTE

Furono giorni tristi. Ed ogni gola
era bruciata, gli occhi eran di vetro.
Un triste tempo, fu! Un triste tempo!
Oh, tristi mi fissavano quegli occhi!
Quando, a un tratto, guardando ad occidente,
io osservai in cielo qualche cosa.

Parea, dapprima, una piccola macchia,
poi una nuvoletta mi sembrava,
e si muoveva sempre, e infin, son certo,
una distinta forma essa prendeva.
Una macchia, una nuvola, una forma!
Ed essa sempre più s’avvicinava:
quasi a scansare spirito marino,
s’immergeva, virava e bordeggiava.

Con gole arse e labbra gonfie e nere,
né rider si potea, né lacrimare.
Quell’arsura ci rese tutti muti!
Mi morsi un braccio e ne succhiai il sangue,
poi gridai  “una vela, ecco una vela!”

Con gole arse  e con  labbra  bruciate,
m’ udirono gridar: “Grazie , Signore!”
Ed essi allor ghignarono di  gioia,
e, come se bevessero , ad un tratto
inspirarono l’aria tutt’insieme.
“ Guarda, guarda,” gridai, “non vira più ! ”
“Vien qui, da noi, per portarci aiuto;
senza vento o corrente s’avvicina
verso di noi, con la chiglia alta e dritta!

Ad occidente l’onda fiammeggiava
e la giornata stava per finire!
Sull’onda di ponente il sole stava:
all’improvviso avanzò la strana ombra
e fra noi e il sole, quindi,  s’interpose.

Il sole, a un tratto, apparve a noi striato,
(Madre celeste, donaci il tuo aiuto!)
Come se il sol, con la sua accesa faccia,
guardasse  da una grata di prigione.

Ahimè! ( pensavo e il cor alto batteva)
come velocemente s’avvicina!
Son le sue vele che or brillano al sole
come  esili, agitate ragnatele?

Son quelle le sue coste  da cui il sole
guardò, come da dietro ad una grata?
E quella donna è tutto il suo equipaggio?
Quella è la Morte? E ve ne sono due?
O è la Morte  compagna della donna?

Le sue labbra eran rosse, il guardo franco.
I suoi capelli gialli come l’oro:
la  pelle, però, bianca, di lebbroso,
incubo, terrore, Vita-in- Morte
quella era , che dell’uom congela il sangue.

Passò accanto a noi quella carcassa,
Stavan giocando a dadi quelle due:
“il gioco è fatto, ho vinto, ho vinto io!
diss’ella ” e poi fischiò per ben tre volte.
Scompare il sole, già escon  le stelle:
all’improvviso intorno si fa  buio.
Con un lontano mormorio sul mare,
quella spettrale nave dileguò.

Udivamo e di sbieco guardavamo!
Il terror  nel mio cuor sugger sembrava
il mio sangue vital, come da coppa!
Fievole  eran le stelle, notte fitta,
del timoniere  si scorgea il pallore
del viso, alla luce di lanterna.
Dalle vele rugiada gocciolava,
finchè la luna corneggiante  apparve
proprio sulla linea orientale,
che, quasi al centro, avea fulgida  stella.

L’un dopo l’altro, sotto stelle  e luna,
senza neppure udir pianti o sospiri,
ogni marinäio, il proprio viso
volse  verso di me in grande angoscia,
e poi con gli occhi, ahimè, mi maledisse.

Duecento uomini vivi ( senza udire
né gemiti o sospiri), con un tonfo,
qual massa  senza vita, ad uno, ad uno,
caddero  giù, sul freddo  pavimento.

Dai loro corpi l’anima volò,
alla  grazia volò o alla condanna!
E ciascun’alma mi passò daccanto,
come il sibilo della mia balestra.

Buon compleanno, Corto



Il 10 luglio 1887 a La Valletta, capitale di Malta, nacque Corto Maltese. Figlio di un marinaio inglese di Tintagel, in Cornovaglia, e della Nina di Gibraltar, una bellissima gitana di Siviglia, modella del pittore Ingres. Il suo nome, in argot andaluso, significa "Svelto di Mano".

"Non sono nessuno per giudicare, so soltanto che ho un'antipatia innata verso i censori, i probiviri... Ma soprattutto sono i redentori coloro che mi disturbano di più."

Corto Maltese, La casa dorata di Samarcanda



Ultimo appuntamento con i cartoni animati di Corto Maltese, realizzati dalla RAI nel 2002. Qui abbiamo "La casa dorata di Samarcanda", adattamento dell'omonimo fumetto

Cliccate sull'immagine in alto e... buona visione, gentiluomini e gentildonne di fortuna!

Corto Maltese, Corte Sconta detta Arcana




Sesto appuntamento con i cartoni animati di Corto Maltese, realizzati dalla RAI nel 2002. Qui abbiamo "Corte Sconta detta Arcana", adattamento dell'omonimo fumetto.

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La Ballata del Vecchio Marinaio (2a parte)


Riprendiamo i magnifici versi di Samuel T. Coleridge e della sua The Rime of Ancient Mariner. Oggi vi propongo la seconda parte, nella quale sono contenuti i versi forse più famosi dell'intero poema: "Water, water, everywhere, Nor any drop to drink!"


SECONDA PARTE

Il sole ora si levava da destra: 
si levava dal mare, circonfuso 
e quasi nascosto fra la nebbia, 
e si rituffava nel mare a sinistra.

E il buon vento di sud spirava ancora dietro a noi, 
ma nessun vago uccello lo seguiva, 
e in nessun giorno riapparve per cibo 
o per trastullo al grido dei marinari.

Oh, io avevo commesso un’azione infernale, 
e doveva portare a tutti disgrazia; 
perché, tutti lo affermavano, io avevo ucciso l’uccello che faceva soffiare la brezza. 
Ah, disgraziato, dicevano, ha ammazzato l’uccello che faceva spirare il buon vento.

Nè fosco nè rosso, ma sfolgorante come la faccia di Dio, 
si levò il sole gloriosamente. 
Allora tutti asserirono che io avevo ucciso l’uccello che portava i vapori e le nebbie. 
È bene, dissero, è bene ammazzare simili uccelli, che apportano i vapori e le nebbie.

La buona brezza soffiava, 
la bianca spuma scorreva, 
il solco era libero: 
eravamo i primi che comparissero in quel mare silenzioso...

A un tratto, il vento cessò, 
e cadder le vele; 
fu una desolazione ineffabile: 
si parlava soltanto per rompere il silenzio del mare.

Solitario in un soffocante cielo di rame, 
il sole sanguigno, non più grande della luna, 
si vedeva a mezzogiorno pender diritto 
sull’albero maestro.

Per giorni e giorni di seguito, 
restammo come impietriti, 
non un alito, non un moto; 
inerti come una nave dipinta sopra un oceano dipinto.

Acqua, acqua da tutte le parti; 
e l’intavolato della nave si contraeva per l’eccessivo calore; 
acqua, acqua da tutte le parti; 
e non una goccia da bere!

Il mare stesso si putrefece. 
O Cristo! che ciò potesse davvero accadere? Sì; 
delle cose viscose strisciavano trascinandosi 
su le gambe sopra un mare glutinoso.

Attorno, attorno, turbinosi, innumerevoli fuochi fatui 
danzavano la notte: 
l’acqua, come l’olio nella caldaia d’una strega, 
bolliva verde, blu, bianca.

E alcuni, in sogno, ebbero conferma 
dello spirito che ci colpiva così: 
a nove braccia di profondità, 
ci aveva seguiti dalla regione della nebbia e della neve.

E ogni lingua, per l’estrema sete, 
era seccata fino alla radice; 
non si poteva più articolare parola, 
quasi fossimo soffocati dalla fuliggine.

Ohimè! che sguardi terribili mi gettavano, 
giovani e vecchi! 
In luogo di croce, mi fu appeso al collo 
l’Albatro che avevo ucciso.


Corto Maltese, Le Etiopiche




Quinto appuntamento con i cartoni animati di Corto Maltese, realizzati dalla RAI nel 2002. Qui abbiamo "Le Etiopiche", adattamento degli albi a fumetti:

  • L'ultimo colpo (include anche "In nome di Allah misericordioso e compassionevole")
  • ...E d'altri Romei e di altre Giuliette
  • Leopardi


Per vedere il filmato, cliccate sull'immagine in alto e... buona visione, gentiluomini e gentildonne di fortuna!

Cucina marinaresca... piratesca!




Quando pensiamo a pirati, corsari e bucanieri lontani dalle burrasche e dalle vele, dagli arrembaggi e dalle cannonate, li immaginiamo seduti in qualche locanda a scolarsi fiumi di rum. Come tutti gli esseri umani, però, dovevano anche mettere qualcosa sotto i denti! Cosa mangiavano i pirati?

Secondo alcune storie che ci sono giunte, sulla cui veridicità ci sarebbe da discutere, ma noi amiamo il mare e le sue leggende, quindi la cosa ci lascia più o meno indifferenti, esistevano dei veri e propri "piatti pirateschi". 
Henry Morgan, ad esempio, pare fosse ghiotto di "Spezzatino Pepperpot": uno stufato di manzo e maiale con una salsa di manioca, ottimo conservante naturale che permetteva a questa pietanza di durare CENTO anni!


C'era poi la "Salsa Pepper Rum", specialità della ciurma di Barbanera: si preparava facendo bollire peperoncino, melassa e rum e facendola raffreddare mettendo del ghiaccio sul coperchio.



Come non ricordare anche i piatti preferiti da Black Bart Roberts: la "Insalata Salmigondis", una ricetta a base di carne, acciughe e senape; e la "Jambalaya alla salsiccia", un piatto simile alla paella a base di riso e carne di maiale.





Troppa carne? Tranquilli, i pirati ovviamente mangiavano anche piatti di mare. Ad esempio lo "Stufato di tartaruga" che veniva preparato con tanto limone, spezie e la carne di tartaruga.



Ricordiamo infine il "Granchio Matoutou", che si preparava bollendo e rosolando i granchi con pancetta, cipolla e manioca.



Quindici uomini sulla cassa del morto



Chiunque abbia letto L'isola del tesoro di Robert L. Stevenson conosce questa canzone. Quantomeno la prima strofa, che compare fin dalla prima pagina del romanzo e che il pirata Long John Silver canta insieme ad altri marinai:

"Quindici uomini sulla cassa del morto
yo-ho-ho, e una bottiglia di rum!
la bottiglia e il demonio han pensato al resto
yo-ho-ho, e una bottiglia di rum!"

QUI potete ascoltare la versione in italiano

Ma di quali uomini si parla? Quale cassa da morto?
Per scoprirlo bisogna rifarsi a un episodio che vede protagonista il famigerato Barbanera, al secolo Edward Teach. Secondo la leggenda, Barbanera avrebbe punito trenta uomini della sua ciurma, colpevoli di ammutinamento. Dopo averli condotti su un isolotto disabitato delle Isole Vergini, il cui nome era Dead Man's Chest ("Cassa di uomo morto"), li abbandonò là per un mese, lasciando loro soltanto una bottiglia di rum a testa. Quando tornò a riprenderli, ne erano sopravvissuti solo quindici: da lì, l'origine della leggenda di cui parla il testo della canzone.



Una delle versioni più famose è quella di Craig Toungate, che potete ascoltare QUI e della quale vi propongo il testo:

Fifteen men on a dead man's chest
Yo ho ho and a bottle of rum
Drink and the devil had done for the rest
Yo ho ho and a bottle of rum.

The mate was fixed by the bosun's pike
The bosun brained with a marlinspike
And cookey's throat was marked belike
It had been gripped by fingers ten;
And there they lay, all good dead men
Like break o'day in a boozing ken.
Yo ho ho and a bottle of rum.

Fifteen men of the whole ship's list
Yo ho ho and a bottle of rum!
Dead and be damned and the rest gone whist!
Yo ho ho and a bottle of rum!

The skipper lay with his nob in gore
Where the scullion's axe his cheek had shore
And the scullion he was stabbed times four
And there they lay, and the soggy skies
Dripped down in up-staring eyes
In murk sunset and foul sunrise
Yo ho ho and a bottle of rum.

Fifteen men of 'em stiff and stark
Yo ho ho and a bottle of rum!
Ten of the crew had the murder mark!
Yo ho ho and a bottle of rum!

Twas a cutlass swipe or an ounce of lead
Or a yawing hole in a battered head
And the scuppers' glut with a rotting red
And there they lay, aye, damn my eyes
Looking up at paradise
All souls bound just contrariwise
Yo ho ho and a bottle of rum.

Fifteen men of 'em good and true
Yo ho ho and a bottle of rum!
Ev'ry man jack could ha' sailed with Old Pew,
Yo ho ho and a bottle of rum!

There was chest on chest of Spanish gold
With a ton of plate in the middle hold
And the cabins riot of stuff untold,
And they lay there that took the plum
With sightless glare and their lips struck dumb
While we shared all by the rule of thumb,
Yo ho ho and a bottle of rum!

More was seen through a sternlight screen...
Yo ho ho and a bottle of rum
Chartings undoubt where a woman had been
Yo ho ho and a bottle of rum.

'Twas a flimsy shift on a bunker cot
With a dirk slit sheer through the bosom spot
And the lace stiff dry in a purplish blot
Oh was she wench or some shudderin' maid
That dared the knife and took the blade
By God! she had stuff for a plucky jade
Yo ho ho and a bottle of rum.

Fifteen men on a dead man's chest
Yo ho ho and a bottle of rum
Drink and the devil had done for the rest
Yo ho ho and a bottle of rum.

We wrapped 'em all in a mains'l tight
With twice ten turns of a hawser's bight
And we heaved 'em over and out of sight,
With a Yo-Heave-Ho! and a fare-you-well
And a sudden plunge in the sullen swell
Ten fathoms deep on the road to hell,
Yo ho ho and a bottle of rum!

La Ballata del Vecchio Marinaio (1a parte)


Il mare è sempre stato una fonte di ispirazioni per artisti e poeti. Una delle prime poesie, anche se sarebbe più corretto definirlo poema, che ho letto sul mare è stata "La Ballata del Vecchio Marinaio", di Samuel Taylor Coleridge.
The Rime of the Ancient Mariner, questo il nome originale dell'opera, faceva parte di un'antologia poetica che Coleridge scrisse insieme ad un altro poeta, William Wordsworth: le Lyrical Ballads, vero e proprio manifesto del Romanticismo.

La Ballata è divisa in sette parti. Oggi ne pubblico la prima, partendo dalla traduzione dall'originale inglese che ne fece  Enrico Nencioni nel XIX secolo.


PRIMA PARTE

È un vecchio marinaio,
e ferma uno dei tre:
"Per la tua lunga barba grigia e il tuo occhio scintillante,
perché ora mi fermi?

Le porte dello Sposo son già tutte aperte,
e io sono il più stretto parente;
i convitati son già riuniti, la festa è pronta,
puoi udirne l’allegro rumore".

Ma egli lo trattiene con la sua mano scheletrica.
"C’era una nave," dice.
"Lasciami! Non mi toccare, vecchio pazzo dalla barba grigia!"
E quello immediatamente ritirò la mano.

Ma con l’occhio scintillante lo attrae e lo trattiene.
E l’invitato resta immobile,
e ascolta come un bambino di tre anni:
il Marinaio controlla il suo volere.

L’invitato siede su una pietra:
e non può fare a meno di ascoltare.
E così parlò quel vecchio uomo,
il Marinaio dallo sguardo luminoso:

"La nave, salutata, aveva già lasciato il porto,
e lietamente si lasciava
alle spalle la chiesa, la collina,
la cima del faro.

Il Sole si levò da sinistra,
sorgeva dal mare!
Brillò magnificamente, e a destra
ridiscese nel mare.

Ogni giorno più alto, finché
diritto sull’albero maestro, a mezzogiorno..."
L’invitato si batte il petto impaziente,
perché sente risuonare il grave fagotto.

La Sposa è entrata nella sala:
è vermiglia come una rosa;
la precedono, annuendo in cadenza,
i gioiosi musicanti.

L’invitato si batte ancora il petto,
ma non può fare a meno di ascoltare.
E così seguitò a dire quel vecchio,
il Marinaio dall’occhio brillante.

"Ed ecco che sopraggiunse la burrasca,
e fu tirannica e forte:
ci colpì con le sue irresistibili ali,
e, insistente, ci cacciò verso sud.

Ad alberi piegati, a bassa prora,
come chi ha inseguito con urli e colpi
e pur rincorre ancora l’ombra del suo nemico,
a capo chino la nave

correva veloce, la tempesta ruggiva forte,
e ci spingeva sempre piú verso sud.
E poi vennero insieme la nebbia e la neve;
e si fece un freddo terribile:

e ghiacci, alti come l’albero maestro,
ci galleggiavano attorno, verdi come smeraldo.
E attraverso il turbine delle valanghe,
le rupi nevose mandavano sinistri bagliori:

non si vedeva più forma umana o animale -
il ghiaccio era dappertutto.
Il ghiaccio era qui, il ghiaccio era là,
il ghiaccio era tutto all’intorno:

scricchiolava e muggiva, ruggiva ed urlava,
come i rumori che si sentono mancando.
Alla fine un Albatro passò per aria,
venne attraverso la nebbia;

come fosse stato un’anima cristiana,
lo salutammo nel nome di Dio.
Mangiò del cibo che non aveva mai provato,
e volava attorno a noi.

Il ghiaccio a un tratto si ruppe con un tuono,
il pilota potè passare in mezzo a un varco.
E un buon vento del sud ci soffiò alle spalle,
l’Albatro ci seguiva;

e ogni giorno veniva a mangiare e giocare,
chiamato e salutato allegramente dai marinai.
Tra la nebbia o le nuvole, sull’albero o sulle vele,
si appollaiò per nove sere di seguito; 

mentre la notte, attraverso una bianca foschia,
splendeva nel chiarore lunare".
"Che Dio ti salvi, o Marinaio,
dal demonio che ti tormenta! -

Perché hai quello sguardo?" - "Con la mia balestra,
io ammazzai l’Albatro.


Corto Maltese, Sotto la bandiera dell'oro


Quarto appuntamento con i cartoni animati di Corto Maltese, realizzati dalla RAI nel 2002. Qui abbiamo "Sotto la bandiera dell'oro", adattamento degli albi a fumetti:
  • L'angelo della finestra d'oriente
  • Sotto la bandiera dell'oro (intitolato però Il tesoro del Montenegro)
  • Sogno di un mattino di mezzo inverno
  • Côtes de nuit e rose di Piccardia

Cliccate sulla immagine in alto e... buona visione, gentiluomini e gentildonne di fortuna!

Quarantena, il mare torna pulito.

Se c'è una cosa positiva, in tutto questo marasma legato alla quarantena per il Covid 19, riguarda la salubrità ambientale. In particolare, i mari e gli oceani tornano a respirare, a brillare, a vivere. Tolti gli scarichi a mare, la nafta dei traghetti e delle barche, l'immondizia gettata dai passanti e la natura riprende il proprio posto sul trono del pianeta. La flora e la fauna marine ricominciano a farsi notare da noi, uomini della contemporaneità che avevamo dimenticato o, in alcuni casi, mai visto lo splendore del Mare.

A Napoli, dalla passeggiata di via Caracciolo si può apprezzare un'acqua che ricorda quella delle più nascoste calette dei Caraibi.



A Venezia, nei famosissimi canali della città lagunare sono tornati i pesci.



A Cagliari, addirittura, sono stati avvistati banchi di delfini nei pressi del porto cittadino.



Le immagini scattate dai satelliti della Nasa dimostrano, senza alcun dubbio, che l'inquinamento è crollato in tutte le zone della quarantena, con grande giovamento delle acque (non dimentichiamo che moltissimi fiumi sono tornati ad essere puliti e popolati da una copiosa fauna dopo tanti decenni), delle pianure, dei boschi, delle montagne.
Chissà se l'Uomo imparerà almeno questa lezione dopo la terribile esperienza della pandemia da coronavirus. Non ci resta che sperarlo.

Tortuga



L'isla de la Tortuga, o più semplicemente Tortuga, è un'isola divenuta famosa nell'immaginario collettivo in quanto legata alle vicende dei pirati.
La Tortuga si trova a nord dell'isola di Hispaniola ed è separata da questa dal canale della Tortuga. Il suo territorio, prevalentemente montagnoso e roccioso, appartiene allo stato di Haiti. Fu una delle prime isole scoperte da Cristoforo Colombo, il quale la battezzò isla de la Tortuga per la sua somiglianza ad una tartaruga.

La pirateria comparirà sull'isola intorno alla metà del Seicento. Dal 1640 i bucanieri della Tortuga divennero noti come "Fratelli della Costa" ed erano per la maggior parte francesi e inglesi, con un piccolo gruppo di olandesi. La Francia dovrà attendere il 1659 per prendere definitivamente possesso dell'isola, grazie anche alla strenua resistenza dei pirati locali. Tra questi, ricordiamo il filibustiere Henri de Fontenay.
Intorno al 1670, il corsaro inglese Henry Morgan cercò di organizzare i pirati dell'isola. Indisse un'assemblea, che si tenne a Tortuga  il 24 ottobre 1670 a Tortuga. In quella occasione fu deciso di assaltare Panama. Furono poi ingaggiati dai francesi al fine di avere un maggior controllo sulla regione caraibica, ma de facto la Tortuga rimase sembre abbastanza indipendente e perciò fu un covo ideale dei bucanieri.
Nel 1697, guidati dal governatore francese Jean-Baptiste Du Casse, un migliaio di filibustieri e bucanieri provenienti dalla Tortuga e dalla vicina Saint-Domingue parteciparono alla presa di Cartagena, a tutt'oggi considerato il saccheggio più fruttuoso della storia della marina francese.
La pace di Utrecht del 1713 vide, infine, una coalizione delle potenze europee contro la pirateria, sancendo la fine dell'epoca dei filibustieri nei Caraibi.

Perché il mare fa bene



Oggi vi posto un breve articolo, tratto da Lifegate, in cui si parla dei benefici che il mare arreca al corpo e, perché no, anche allo spirito dell'essere umano.
Buona lettura!

Il colore blu
Secondo uno studio dell’Università della British Columbia, che tra 2007 e 2008 ha analizzato gli effetti dei colori rosso e blu su un campione di 600 persone, proprio il colore associato all’oceano e al cielo e quindi a spazi molto aperti e a vasti orizzonti infonderebbe un maggior senso di calma e tranquillità. Proprio quello che serve dopo un anno di stress!

Il particolare bioclima
Esiste una branca della medicina, detta climatoterapia, che studia i diversi bioclimi e gli effetti che gli stessi hanno sugli esseri umani. Secondo le ricerche dell’Università Statale di Milano, per esempio, il bioclima oceanico o di scoglio, con la sua ventilazione accentuata e la radiazione ultravioletta intensa tutto l’anno, risulta particolarmente stimolante e utile per le vie respiratorie (ma non va bene per chi soffre per esempio di cefalee muscolo tensive); il bioclima di spiaggia degradante è invece sedativo, calmante, utile per ristabilirsi da patologie di diversa natura, tra cui infarti, allergie stagionali e addirittura nevrosi depressive.

Le onde
Il rumore del mare, si sa, è terapeutico. Secondo William Dorfman, professore di psicologia alla Nova Southeastern University, una “colonna sonora” costituita dal rumore delle onde che si infrangono sul bagnasciuga rilassa il cervello ed equilibra i livelli di sostanze chimiche benefiche nel nostro organismo, come serotonina e dopamina.

La connessione con la Terra
Camminare a piedi nudi sulla spiaggia ci riconnette immediatamente alla Terra, alle radici. I piedi, inoltre, sono una delle parti del corpo maggiormente irrorate da terminazioni nervose: per questo le lunghe camminate sulla sabbia possono costituire un massaggio che, partendo dalle nostre estremità, garantisce un effetto benefico a tutto l’organismo.

La luce del sole
L’esposizione alla luce solare, purché la pelle sia adeguatamente protetta, è molto benefica per l’organismo umano: favorisce lo sviluppo di vitamina D che aiuta le ossa nell’assorbimento del calcio, indispensabile soprattutto in età matura.

Non possiamo sottovalutare, infine, il richiamo ancestrale dell’acqua. La psicologia e anche le tradizioni mitologiche di diverse parti del mondo la considerano da sempre come uno dei simboli più importanti e più potenti per l’essere umano: il suo significato ha legami con l’inconscio, è collegata all’origine stessa dell’esistenza e al ciclo vita-morte. Diverse religioni le attribuiscono un significato rituale. Del resto, non poteva essere diversamente per gli abitanti del “pianeta blu”.

Corto Maltese, Teste e funghi (cartone animato)

Terzo appuntamento con i cartoni animati di Corto Maltese, realizzati dalla RAI nel 2002. Qui abbiamo "Teste e funghi", adattamento degli albi a fumetti:
  • Teste e funghi
  • La conga delle banane
  • Concerto in O' minore per arpa e nitroglicerina

Buona visione, gentiluomini (e gentildonne) di fortuna!


La differenza tra Virata e Strambata

Se vi è capitato di seguire qualche regata velica alla tv, magari tifando per Azzurra, il Moro di Venezia, Luna Rossa o Mascalzone Latino, avrete certamente sentito più volte questi due termini: virare e strambare.
Effettuare una virata, o una strambata, significa semplicemente cambiare la direzione dell'imbarcazione passando con la prua, o con la poppa, nel vento. Proviamo a vedere nel dettaglio:

Virata
La virata è la manovra di cambio di direzione che si effettua portando la prua in direzione del vento. Usando termini tecnici, diremo che la virata è il cambio di mure che si ottiene attraversando il vento con la prua. In pratica, se il vento batte sul fianco destro della barca (quindi stiamo procedendo mure a dritta) e vogliamo cambiare direzione con una virata, cominceremo a "stringere l'angolo di bolina", ovvero andremo di bolina, poi controvento, poi il boma ci passerà sulla testa (perché la vela prenderà il vento dalla direzione opposta, ovvero da sinistra) e poi torneremo di bolina ma con le mure a sinistra, perché adesso il vento colpirà prima la parte sinistra della nostra barca.



Strambata
Detta anche "Abbattuta", la strambata è la manovra di cambio di direzione che si effettua portando la poppa in direzione del vento. Usando termini tecnici, diremo che la strambata è il cambio di mure che si ottiene attraversando il vento con la poppa. Nell'esempio che segue, immaginiamo che il vento batta sulla sinistra della nostra imbarcazione (quindi stiamo procedendo mure a sinistra). Decidiamo di cambiare mure, ovvero di cambiare direzione, con una strambata. Passeremo all'andatura del lasco, poi di poppa, poi il boma passerà violentemente sulle nostre teste (perché la vela prenderà il vento dalla direzione opposta, ovvero da destra), poi di nuovo lasco e infine traverso, con il vento che adesso colpirà prima la parte destra della nostra barca (quindi staremo procedendo mure a dritta)






La democrazia dei pirati



E' incredibile a dirsi, eppure era così: i pirati che terrorizzavano navi, marinai e città costiere, realizzarono a bordo delle loro navi un sistema di governo realmente democratico. E misero in piedi persino una sorta di ente di previdenza ed assistenza per i malati ed i mutilati. 
A darcene testimonianza tra i primi fu il "Giornale di bordo" del chirurgo francese A.O. Exquemelin, pubblicato nel 1978. Exquemelin fece parte di un equipaggio di pirati e, poiché sapeva leggere e scrivere, annotò sul suo diario dettagli, riti e caratteristiche della vita piratesca.
Afferma Exquemelin che i pirati accettavano di buon grado le regole e che il capitano veniva scelto dall’equipaggio attraverso una votazione in cui tutti contavano lo stesso: il quartiermastro come il mozzo, il primo ufficiale come l'ultimo marinaio. Addirittura, lo stesso equipaggio poteva destituire il capitano se riteneva che fosse inadatto al comando: a seguito di una votazione, poteva fornire al capitano "la macchia nera", un simbolo di sfiducia dell'equipaggio verso il proprio capitano, il quale veniva messo da parte e poteva (in alcuni casi, doveva) lasciare la nave.
Per quanto riguarda "la cassa mutua", ai feriti ed ai mutilati veniva data una cospicua ricompensa in "pezzi da otto": i Real da 8 erano monete d'argento del valore di otto reales spagnoli. I proventi delle razzie erano divisi in parti uguali: a volte, però, poteva capitare che al capitano o ad altri ufficiali fosse riservata una parte superiore a una unità, ma comunque il tutto veniva stabilito prima. 

Lo scrittore Marcus Rediker, nel suo libro Villains of All Nations: Atlantic Pirates in the Golden Age evidenzia che la vita a bordo delle navi commerciali era terribilmente dura che molti marinai si ammutinavano preferendo i rischi di una vita "breve, ma felice", come era il motto di Bartholomew Roberts, uno dei più grandi capitani pirata di tutti i tempi, conosciuto col nome di Black Bart.
Chi aveva conosciuto la brutalità dei capitani "regolari", sapeva bene che l’unica alternativa valida era un sistema di regole fondate non sulla coercizione, ma sulla condivisione e sull'uguaglianza di ciascun membro dell’equipaggio. 
Sulle navi dei pirati e tra i "fratelli della costa" le cose funzionavano così: era l’istinto di libertà dei pirati, la loro tolleranza verso uomini di altra etnia o religione, tanto che Defoe paragonò la ribellione dei pirati a quella degli schiavi guidati da Spartaco, nell'Antica Roma.