Il mare è sempre stato una fonte di ispirazioni per artisti e poeti. Una delle prime poesie, anche se sarebbe più corretto definirlo poema, che ho letto sul mare è stata "La Ballata del Vecchio Marinaio", di Samuel Taylor Coleridge.
The Rime of the Ancient Mariner, questo il nome originale dell'opera, faceva parte di un'antologia poetica che Coleridge scrisse insieme ad un altro poeta, William Wordsworth: le Lyrical Ballads, vero e proprio manifesto del Romanticismo.
La Ballata è divisa in sette parti. Oggi ne pubblico la prima, partendo dalla traduzione dall'originale inglese che ne fece Enrico Nencioni nel XIX secolo.
PRIMA PARTE
È un vecchio marinaio,
e ferma uno dei tre:
"Per la tua lunga barba grigia e il tuo occhio scintillante,
perché ora mi fermi?
Le porte dello Sposo son già tutte aperte,
e io sono il più stretto parente;
i convitati son già riuniti, la festa è pronta,
puoi udirne l’allegro rumore".
Ma egli lo trattiene con la sua mano scheletrica.
"C’era una nave," dice.
"Lasciami! Non mi toccare, vecchio pazzo dalla barba grigia!"
E quello immediatamente ritirò la mano.
Ma con l’occhio scintillante lo attrae e lo trattiene.
E l’invitato resta immobile,
e ascolta come un bambino di tre anni:
il Marinaio controlla il suo volere.
L’invitato siede su una pietra:
e non può fare a meno di ascoltare.
E così parlò quel vecchio uomo,
il Marinaio dallo sguardo luminoso:
"La nave, salutata, aveva già lasciato il porto,
e lietamente si lasciava
alle spalle la chiesa, la collina,
la cima del faro.
Il Sole si levò da sinistra,
sorgeva dal mare!
Brillò magnificamente, e a destra
ridiscese nel mare.
Ogni giorno più alto, finché
diritto sull’albero maestro, a mezzogiorno..."
L’invitato si batte il petto impaziente,
perché sente risuonare il grave fagotto.
La Sposa è entrata nella sala:
è vermiglia come una rosa;
la precedono, annuendo in cadenza,
i gioiosi musicanti.
L’invitato si batte ancora il petto,
ma non può fare a meno di ascoltare.
E così seguitò a dire quel vecchio,
il Marinaio dall’occhio brillante.
"Ed ecco che sopraggiunse la burrasca,
e fu tirannica e forte:
ci colpì con le sue irresistibili ali,
e, insistente, ci cacciò verso sud.
Ad alberi piegati, a bassa prora,
come chi ha inseguito con urli e colpi
e pur rincorre ancora l’ombra del suo nemico,
a capo chino la nave
correva veloce, la tempesta ruggiva forte,
e ci spingeva sempre piú verso sud.
E poi vennero insieme la nebbia e la neve;
e si fece un freddo terribile:
e ghiacci, alti come l’albero maestro,
ci galleggiavano attorno, verdi come smeraldo.
E attraverso il turbine delle valanghe,
le rupi nevose mandavano sinistri bagliori:
non si vedeva più forma umana o animale -
il ghiaccio era dappertutto.
Il ghiaccio era qui, il ghiaccio era là,
il ghiaccio era tutto all’intorno:
scricchiolava e muggiva, ruggiva ed urlava,
come i rumori che si sentono mancando.
Alla fine un Albatro passò per aria,
venne attraverso la nebbia;
come fosse stato un’anima cristiana,
lo salutammo nel nome di Dio.
Mangiò del cibo che non aveva mai provato,
e volava attorno a noi.
Il ghiaccio a un tratto si ruppe con un tuono,
il pilota potè passare in mezzo a un varco.
E un buon vento del sud ci soffiò alle spalle,
l’Albatro ci seguiva;
e ogni giorno veniva a mangiare e giocare,
chiamato e salutato allegramente dai marinai.
Tra la nebbia o le nuvole, sull’albero o sulle vele,
si appollaiò per nove sere di seguito;
mentre la notte, attraverso una bianca foschia,
splendeva nel chiarore lunare".
"Che Dio ti salvi, o Marinaio,
dal demonio che ti tormenta! -
Perché hai quello sguardo?" - "Con la mia balestra,
io ammazzai l’Albatro.